Chi siamo
Ciao, siamo Giacomo e Laura, due ragazzi che vivono a Senna Comasco, in provincia di Como.
A luglio il "nostro" aereo partirà per il Malawi, per un'esperienza missionaria presso le suore Sacramentine. Per Giacomo è la prima esperienza, per Laura invece, sarebbe la quarta volta ...
Non vogliamo andar giù a mani vuote, e non vogliamo nemmeno andare "da soli": vivere un'esperienza del genere senza poterla condividere con i nostri amici non avrebbe senso.
Ecco perchè questo blog. Ecco perchè l'idea del progetto Luluza Malawi... Buon viaggio, insieme a noi....
Che tempo fa a Monkey Bay
lunedì 5 novembre 2012
Malawi 2011 - diario di viaggio cap. 3
All’interno dell’aeroporto di Addis Abeba mi sentivo già un po’ a casa. Tutto era così cosmopolita. E soprattutto già respiravo aria d’Africa.
Ero così eccitata una volta atterrata al Bole International Airport che poco mi interessava se la struttura fosse al limite del fatiscente, e la marea di gente in transito di ogni nazionalità fosse quasi impenetrabile. Sapevo di essere già sul suolo africano, lontano ancora migliaia di chilometri dal Malawi, ma ero lì, in quel continente pieno di meraviglie. Persino l’obbligo di togliersi le scarpe per accedere ai gates era banale rispetto alle emozioni che provavo in quel momento.
E l’emozione ha davvero avuto il sopravvento, anche su Giacomo, perché entrambi non abbiamo fatto caso alle indicazioni dell’imbarco, o forse è meglio pensare di aver sbagliato e di non essere stati attenti piuttosto che fare i conti con gli imprevisti all’africana.
L’aereo che ci doveva portare a Lilongwe infatti avrebbe poi dovuto fare scalo a Lubumbashi, la seconda città più grande della Repubblica Democratica del Congo e capitale della regione del Katanga. Almeno così credevamo. Una volta a bordo, e ovviamente dopo aver dormito, mi ero accorta che qualcosa non andava nel verso giusto. Non avevo visto i grandi laghi sopra cui sapevo saremmo dovuti passare. Non avevo visto nemmeno il lago Malawi. Pensavo: “Oramai dovremmo esserci. Dovremmo vedere il lago, le montagne”… e invece, solo foreste.
In quel momento mi venne in aiuto il comandante che disse: “Stiamo per atterrare a Lubumbashi”. Ero talmente scioccata che pensavo addirittura di aver sbagliato aereo. E invece la hostess ci confermò che prima di andare in Malawi avremmo dovuto fare scalo tecnico in Congo. Così, nel giro di pochi minuti mi ritrovai su un altro suolo africano, il settimo “toccato” nel corso della mia vita. Il Congo, l’ex Zaire, e nello specifico nel Katanga, regione indipendentista al centro della guerra civile degli anni novanta. Vedere l’esercito sul tetto dell’aeroporto e sulla pista era così normale, e persino l’obbligo di rimanere seduti nei propri posti. L’attesa sarebbe comunque durata appena un’ora e poi saremmo potuti ripartire per il Malawi. Anche questa è l'Africa ...
lunedì 27 agosto 2012
Malawi 2011 - Diario di viaggio - cap.2
All’apertura dell’imbarco ero la prima. La prima a consegnare il biglietto e il passaporto. La prima a salire sull’aereo. La prima a salutare le hostess e il comandante. Credetemi quando dico che la delusione è stata tanta. Davanti a me si presentava un volo già quasi al completo. Tutti i posti erano ormai occupati all’infuori dei nostri. Due buchi laterali tra due africani (più o meno della mia stazza) di ritorno a casa. L’aereo proveniva infatti da Bruxelles e quasi sicuramente raccoglieva passeggeri provenienti da tutto il nord Europa. L’aeroporto di Addis Abeba è infatti diventato uno degli scali più importanti di tutta l’Africa, in grado di collegare il continente nero con tutte le più grandi città del mondo. Quasi tutti i voli provenienti dall’Europa e diretti in uno degli stati dell’Africa Orientale era ed è destinato a fermarsi lì. E noi anche. Il problema è che non c’era più posto per mettere il bagaglio a mano, e ce lo siamo dovuti tenere tutto il tempo tra le nostre ginocchia e il sedile davanti. Lo spazio era davvero così angusto che mangiando abbiamo rischiato di tirarci addosso tutto. Ma la cosa a me e a Giacomo eccitava invece che renderci nervosi. Continuavamo a ridere e a sghignazzare anche quando poco prima di iniziare la fase di rollaggio sulla pista di decollo l’aereo ha subito un black out. Immaginatevi la scena. Il 20 luglio alle ore 22 un boeing pieno zeppo fermo in mezzo alla pista, muto, e al buio… e senza aria condizionata. Ci dicevano che era un problema tecnico non grave e che saremmo ripartiti dopo mezz’ora. E io che già pensavo “9 ore di volo dopo un guasto tecnico. Va beh, se devo morire almeno morirò realizzando il mio sogno”. Ma non penso che Giacomo stesse pensando la stessa cosa.
Malawi 2011 - Diario di viaggio - cap.1
L’attesa all’aeroporto della Malpensa era davvero estenuante. Giacomo era con me; una bella compagnia a cui mi ero abituata da anni; un grande amico con cui sapevo avrei vissuto una straordinaria esperienza. Eppure nonostante ci fosse lui, aspettare quel volo che mi avrebbe riportato in Africa era quasi insostenibile. Avrei voluto essere già là… essere atterrata da poco e respirare di nuovo la dolce brezza di quel posto.
Continuavo a guardare fuori dai grandi finestroni del Terminal alla ricerca del grande boeing dell’Ethiopian Airlines, mentre il microfono scandiva una lingua che non conoscevo: al gate vicino stavano imbarcando gli ultimi passeggeri per il volo diretto a Tel Aviv. Li guardavo, e vedevo turisti, ma soprattutto persone che tornavano a casa. Tornavano a casa come me.
Erano passati poco meno di 9 anni dall’ultima mia volta in Malawi. E da allora avevo convissuto con i ricordi, più o meno rumorosi, più o meno dolorosi. Si parla di mal d’Africa, ma se ne ha la consapevolezza solo quando ne si soffre davvero. Ed io ne ero ammalata da ben 11 anni… da quando toccai per la prima volta il dolce caldo cuore dell’Africa. Quindi non è così strano, se fuori dai grandi finestroni della Malpensa, invece di vedere aerei, piste d’atterraggio, passeggeri, riuscivo solamente e vedere le sconfinate colline di Namwera, le montagne di Ntcheu e le piantagioni ai piedi del Mulanje, il lago luccicante ai piedi della collina di Nankhwali e pacifico e colorato nella grande distesa di Monkey Bay. Ne percepivo i suoni, gli odori, le voci. Sentivo già il ritornello che spesso mi avrebbe accompagnato nel mese che mi aspettava: “Muli bwanji, may? (Come va, signora)”.
In tutto questo Giacomo percepiva il mio nervosismo e da buon amico mi prendeva la mano e mi incitava a realizzare ciò che stavo per fare: “Dai che torni in Africa, Laura.
Iscriviti a:
Post (Atom)